WHISKY REVOLUTION FESTIVAL TALK – Capitolo 02

Non c’è tanta differenza con la Scozia. Chiunque si sia infilato in un pubbaccio in qualsiasi paesino meno turistico, ha ben presente cosa succede quando un forestiero varca le colonne d’Ercole del locale. La conversazione si spegne improvvisamente come una candela e decine di coppie di occhi si voltano all’unisono verso lo straniero. Solo che in Scozia poi ti servono da bere, invece qui capita che ti dicano che “mi dispiace signore il locale è chiuso” anche se la porta era aperta, la tv accesa sulla partita e una decina di persone con la birra in mano stanno tifando l’Inter in Champions League. Transeat, nessun morirà di sete né stasera né domani.
Glorenza non è Los Angeles, così capita che dall’albergo al ristorante bastino una cinquantina di passi e in quello spazio si incroci la più alta concentrazione di appassionati di whisky mai sperimentata da queste parti.
Così, mentre chi è già sistemato e rivestito si fa due passi semituristici tra il campanile e le mura, la comitiva si riunisce. Claudione Riva, il gran sacerdote di Whisky Club Italia, spunta da una stradina carico carico di borse e bottiglie come un magnifico Babbo Natale brianzolo. Dall’albergo Post invece fa capolino una nuvoletta di fumo. Fantozzi aveva quella carica di pioggia, Max Righi e la sua pipa invece sono carichi di malto. Passato nella finanza, presente nell’imbottigliamento e selezione di barili magnificenti, eternamente dedito ai piaceri della vita da buon modenese gaudente, Max Righi è l’uomo che sta dietro i marchi Silver Seal e Antique Lions of Whisky, nonché il titolare del Bengodi traslocato a Formigine, Whisky Antique.
Dario ha sete, comunque. E dato che qualcuno disse che dare da bere agli assetati è cosa buona e giusta, il barista del Flurin Restaurant comincia a darsi da fare con le bottiglie di whisky Puni. Volano i sour, fioccano gli Old Fashioned. Ma più del tedesco si sente parlare l’accento della gioia di vivere, quello della terra che va dal prosciutto di Parma alla piadina. Accanto a Max ecco un lord inglese, di brughiera e di Riviera. È Nadi Fiori, eccezionalmente senza cravatta perché insomma, ogni Revolution ha il suo dress code. Con la sua Taverna degli artisti ha fatto la storia della ristorazione, mentre con gli imbottigliamenti High Spirits ha fatto quella del whisky italiano. Il baffetto curatissimo da pioniere ce l’ha, la competenza pure. Se aggiungiamo un profondissimo spirito British, abbiamo un’idea del personaggio.
Manca solo lui, l’ospite d’onore. Arriva accompagnato dal figlio e dalla nipote, che per amore del nonno è pronta a sobbarcarsi una due giorni tra alienati con la monomania del single malt. Santa. Valentino Zagatti arriva con il suo Borsalino d’ordinanza e un carisma da icona riluttante. Lo chiamano Mister Malt, la sua collezione è finita in un museo (in Olanda, perché in Italia oltre ai cervelli facciamo fuggire anche le bottiglie), per i 50 anni di collezionismo le distillerie gli hanno perfino dedicato degli imbottigliamenti speciali. Eppure è tutto tranne che una star, anzi. Chi è stato a trovarlo a Lugo, in Romagna, racconta che la sua accoglienza è leggendaria. Valentino – rimasto cieco a 11 anni per l’esplosione di una mina – stappa e versa cose che noi umani non immaginiamo. Ma senza alcuna ostentazione, anzi, con il semplice gusto di condividere qualcosa, che sia una canzone popolare suonata alla fisarmonica o un Talisker 40 anni.
La squadra è pronta per sedersi a tavola. Per ora niente Talk, meglio spalmare un magnifico burro (alla liquirizia?) sul pane di segale e godersi la trota con pera e Puni e la sella di vitello. Claudio Riva ha portato una magnum di vino bianco, poi si va di Vernaccia locale. Di nuovo qualcuno chiede a Davide di spoilerare la seconda edizione del Festival. Gli sfugge che ci sarà una collaborazione con il Treviso Comics. Sbam! Gulp! Ma di più non dice, sta abbottonato come un pescatore delle Orcadi a febbraio.
La truppa è affamata e non solo di chiacchiere, dunque l’idea dei formaggi trova adepti entusiasti. È tempo di dram, però. Max non aspetta un secondo, vola fuori e torna con un Longmorn 30 anni del 1981. È la sua bottiglia per la Talk, quella che ognuno doveva portare perché rappresentativa. Max dice che l’ha portata perché aveva voglia di riberlo, che è la sintesi perfetta del perché un whisky piace. E a tutti questo Speyside piace, eccome. Dario ha le visioni mistiche, ma prima che il gallo canti Diego non lascia ma raddoppia. La sua bottiglia è il Caol Ila 11 anni di Claxton imbottigliato per Whisky Italy. Ne ha portate due, una per la Talk e una per la convivialità. E la banda ringrazia facendo onore al bicchiere.
La conversazione ribolle, si passa dalle botti degli anni ’80 alle ultime releases. Qualcuno si ritira perché il viaggio è tutto tranne che breve. Qualcun altro non molla l’osso. Animali da party, pascolano nelle amene vallate dei bicchieri della staffa. Occorre trovare un posto, però, che il ristorante chiude e anzi ci ha tenuti fin troppo. Ma Glorenza a mezzanotte non brulica di offerte per la night life.
C’è casa di Lukas, anzi la vecchia casa di Lukas. Siano benedette le case delle nonne lasciate ai nipoti. I superstiti si muovono lì, colonizzano la mansarda e aprono nuove bottiglie. Dario ha portato il Kilchoman Comraich del Blend, che è una goduria liquida. Davide sparisce in cucina per una spaghettata e il Bevitore Raffinato, seduto sul divano accanto a Claudio e Diego, ci parla della pancetta arrostita che emerge dal bicchiere. La fame aumenta.
E come di incanto ecco arrivare il cuoco. Con un risotto, perché la dispensa era più deserta dei bar del Proibizionismo. Riso, pepe e Bowmore 12 per sfumare. Mezza bottiglia, eh. Mai manicaretto sembrò tanto succulento e la pentola finisce come d’incanto. A pancia (ulteriormente) piena si torna anche ad essere seri. Il gusto del bevitore di whisky da cosa dipende? Come mai in Italia siamo in fissa con la torba? Claudio, che su Islay praticamente ha la seconda residenza, dice che è una costruzione di marketing. C’è chi aggiunge che anche la riconoscibilità delle note torbate gioca una certa parte: chi ne sa poco, individua la torba e cerca solo quella. Viene prima l’uovo o la gallina? Esiste Dio? Perché viviamo?
Con questi dubbi filosofici nel cuore e il risotto al Bowmore nello stomaco, la notte tutti ci avvolge mentre l’unico suono che si sente è il torrente che scorre. E che fa persino più rumore di Claudio che ride e Giuseppe che parla di politica.